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La fine di un viaggio


Non è la prima volta che succede: basta un nome, basta una notizia rapida al telegiornale e si aprono ricordi, pagine della tua vita che, in un certo senso, sembrava di aver chiuso.


Ad esempio, quello di una mattina di almeno vent'anni fa. C'era il sole, era piena estate quando entrammo in quello stabilimento enorme in Corso Allamano 44, dove oggi c'è la Maserati. All'epoca quella era la Bertone, una delle più importanti carrozzerie automobilistiche del mondo.


Gino aveva lavorato lì, mi aveva raccontato degli anni in cui aveva visto nascere alcune delle automobili che avrebbero reso quella "b" uncinata celebre nel mondo, dalla Lamborghini Countach alla Fiat X1-9. Quella mattina entrammo da una porta laterale: uno dei dipendenti, di cui Gino era stato il capo, ci accompagna in un grande capannone. Quando accese le luci, davanti a noi si aprì una specie di parcheggio delle meraviglie, affollato di decine di prototipi. La storia della carrozzeria era lì, di fronte ai miei occhi. La potevo toccare, la potevo respirare. Ricordo che in quella calda mattinata salii sull'Autobianchi Runabout, una futuristica via di mezzo tra un motoscafo e una Formula Uno, concept del 1969 disegnato da Marcello Gandini e realizzato su base Autobianchi A112. Poi, sulla Ferrari 308 appartenuta proprio a Nuccio Bertone, storico leader dell'azienda. Infine, coperta ancora da un telo, salimmo sul prototipo in elevato stadio di realizzazione dell'Opel Astra G Coupè, che sarebbe stata presentata solo pochi mesi dopo.


Uscii da lì emozionatissimo. Chissà, forse è proprio in quel momento che maturai una convinzione che mi avrebbe accompagnato per molti anni, quella di diventare un designer.


Se non fu in quel momento, la Bertone sarebbe stata certamente la colpevole qualche anno dopo. Nel 2002, per i novant'anni dell'azienda, uscì un volume molto ricco sulla storia dell'azienda, scritto da Luciano Greggio. Gino me ne regalò una copia, insieme a un orologio in tiratura limitata che ancora oggi custodisco gelosamente e una serie di spille che riproducevano l'evoluzione dei loghi della Bertone dalla sua fondazione nel 1912 fino al 2002. Non so quante volte io abbia letto quel libro: l'ho mangiato, consumato, per provare a cogliere quella magia che doveva aver accompagnato la gestazione e la realizzazione di ciascuna di quelle meraviglie. La Giulietta Sprint, la Miura, la Countach, la Stratos... leggende che non vedevo l'ora di vedere da vicino quando, ogni Fiera della Mela a Caprie, si aprivano i grandi cancelli del Centro Stile. E io entravo, ogni volta sognando di potermi sedere in uno di quegli uffici, fogli, matita e colori davanti, e disegnare, disegnare, disegnare. Riempivo quaderni e quaderni di disegni, immaginavo forme, soluzioni. Sognavo e sognavo.


Le cose, alla fine, sono andate diversamente. Ho coltivato il sogno fino alla quarta liceo. Poi ho conosciuto il mio idolo d'infanzia, Marcello Gandini, il papà della Miura, della Countach e della Stratos, e mi ha fatto cambiare. Mi disse che le cose stavano cambiando, che il mondo dell'automobile stava cambiando, che presto l'evoluzione tecnica avrebbe fatto sì che il lavoro dei disegnatori si limitasse ai particolari, ultimi a non restare imbrigliati in regolamenti di omologazione sempre più complessi. Non me lo disse apertamente, ma capii che mi mancava qualcosa, che non avrei mai potuto continuare quella strada come sognavo. Cambiai via, con tutta una serie di difficoltà.


La Bertone, intanto, entrava in un triste baratro. I festeggiamenti per il centenario furono decisamente meno fastosi di quanto ci si potesse aspettare: i nuvoloni della fine incombevano. Il temporale si sarebbe scatenato due anni più tardi. Così, in Corso Allamano 44 prima e a Caprie poi sparirono quelle "b" uncinate che avevano stimolato così tanto la mia fantasia, che avevano per anni griffato ogni mio disegno. Alla Fiera della Mela i cancelli non si aprirono più. Qualche mese fa anche Gino se n'è andato, portandosi via tra le lacrime anche una bella fetta della mia vita.


Da oggi, con la morte di Lilli Bertone, la moglie di Nuccio, che aveva cercato di salvare il nome di una delle più grandi carrozzerie italiane degli anni d'oro dell'automobile, anche quel nome non esiste più. La fine della storia. Resta e resterà il ricordo di una lunga storia che per me ha davvero significato molto, che avrei voluto potesse esser parte della mia vita.


Che, chissà, forse è giunto il momento di raccontare.

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