Per il 2017, parte seconda: guardarsi indietro (Stilisti per caso)
Guardarsi indietro: secondo me, un passo essenziale per poter poi voltarsi verso quel che ancora deve arrivare.
Mi piace riprendere in mano vecchie idee, vecchi progetti interrotti (mai cancellati: solo interrotti, perché non si sa mai cosa può accadere) a distanza di tempo, e capire se valgono qualcosa oppure no.
Allo stesso modo, mi piace spulciare documenti, note, articoli nei quali avevo espresso il mio pensiero o parlato di qualcosa che era capitato, un po' come fossero un grande diario digitale. Ed è qui che arriviamo al senso di questo secondo proposito per il 2017 (in attesa di finirla coi propositi e passare "all'azione"): il 2016 è stato un anno davvero denso. Denso d'impegni ma, soprattutto, denso di "pietre miliari": testi scritti, idee su carta, eventi per ora one off ma che non hanno la minima intenzione di rimanere relegati a una tantum.
Per questo, mentre oggi Bea raccoglieva i vari articoli che la stampa nazionale e pure internazionale aveva scritto sulla Torino Fashion Week e su Le Dee della Morte recuperando anche due righe a caldo che scrissi il 4 luglio, alla conclusione dell'evento, ci tengo a riproporre le mie parole, per fissarle anche sul blog e cominciare, dal prossimo intervento, a guardare nell'anno appena iniziato.
Già solo un paio di anni fa non avrei mai pensato di trovarmi a scrivere qualcosa a proposito di un mondo tanto lontano da me come quello della moda. Per carità, una certa selezione nel mio vestiario l’ho sempre fatta e non posso negare di apprezzare l’idea di avere un mio stile, ma da lì a trovarmi a commentare in prima persona, be’… quello proprio no.
Invece, quando ieri sera si sono spente le luci ed è calato il sipario di Mirafiori sulla prima Torino Fashion Week, mi è venuto da pensare, da riflettere, più di quanto non abbia fatto per progetti molto più “miei” e vicini al mio, di mondo: la musica, i monologhi, il libro… è anche per questo che ci tengo a lasciar scritte due parole, una sorta di longform (mi dicono sia questo il nome degli articoli lunghi), per chi avrà voglia di leggerle.
Un motivo dietro a questo sproloquio c’è, ed è in me molto chiaro: è stato un parto!
Il progetto Le Dee della Morte era cominciato già un numero considerevole di mesi fa e fin dal primo momento è stato elemento di riflessione, di ricerca, talvolta di riscoperta. Perché se l’intuizione di Bea di raccontare con gli abiti un triste protagonista dei nostri tempi come il terrorismo mi aveva elettrizzato fin dal primo momento, la costruzione effettiva di quest’idea è stata complessa. Complessa perché bisognava trovare un bilanciamento tra la fama dell’evento, la sua narrazione a immagini, la sensibilità. Complessa perché per ogni situazione bisognava poi immaginare una mise-en-place, quell’ambiente totale che abbracciasse di volta in volta l’abito che Bea, con un processo che dall’indagine diventava creazione, stava via via plasmando.
Essendo io solo un tassello nel lavoro di un altro, lascio che sia Bea, che ben conosce chi aveva al suo fianco, a fare i ringraziamenti del caso, ma ci tengo a dare un abbraccio virtuale a chi ha reso possibile la realizzazione di tutto quanto così come l’avevamo pensato, scontrandoci anche contro idee differenti e contrastanti (sopravvissute peraltro fino a un minuto prima di entrare in scena). La rappresentazione doveva essere così. È stata così. Non poteva essere altrimenti. E molti commenti ci hanno dato ragione.
Il mio ruolo è stato secondario (è da una settimana che mi prendono in giro per la piccola incomprensione che mi ha reso “stilista” per un giorno… a momenti riesco a indossare un vestito, figuriamoci disegnarne o costruirne uno…), si è limitato alla parte “incorporea” dello spettacolo, ovvero al video, alle musiche e ai “tempi” quand’era ora di entrare in scena… eppure ho sentito il tutto, ancora una volta, un po’ come anche mio. Ancora una volta, un po’ di tutti noi. Ci son state delle incomprensioni, spero chiarite, figlie del marasma che ha preceduto tutto quanto e delle tante indecisioni, in parte legate anche a quelle “opposizioni”, mi sento di definirle tali, incontrate sul cammino, ma continuo a essere fermamente convinto che anche questa volta abbia vinto una squadra, la stessa squadra che partendo dalle nostre prime avventure musicali e teatrali ci ha resi capaci di partire da un’idea per realizzarla nella sua forma più compiuta.
Uno staff creativo a prescindere dalla disciplina in cui si voglia operare la creatività. Abbiamo provato la musica. Abbiamo provato il teatro. Abbiamo provato la letteratura. Da oggi, abbiamo provato anche la moda. E se per Bea questo è senza ombra di dubbio il linguaggio più proprio e consono, son felice che anche noi alle sue spalle non abbiamo mancato l’appuntamento. Tutti quanti. Ora, la sfida più grande e bella, in tutti i campi: alziamo le asticelle.
Così, mentre il sipario cala a Mirafiori penso, rifletto ai nuovi progetti nei quali tutti noi abbiamo immerso la testa. Penso al disco sul quale abbiamo cominciato a lavorare e che sarà di nuovo una grande avventura. Penso ai prossimi concerti. Penso ai miei prossimi spettacoli, alle mie prossime ricerche, alle mie prossime avventure editoriali, chissà. Penso ai nuovi abiti che creerà Bea. Penso ai video, alle foto, ai nuovi lavori su cui si sta lanciando Luca. E so di avere sempre le spalle al sicuro.