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L'altro Medioevo


La locandina dell'evento

La fine dell'anno è prossima, ormai. Per entrare davvero nel 2017, così, voglio recuperare qualcosa dei lavori svolti nell'anno passato. Adesso è il turno di riprendere quella che, di fatto, è stata la mia prima vera "lezione" (spero la prima di una lunga serie). Lo scorso 13 maggio, in occasione di uno degli appuntamenti di approfondimento culturale promossi dall'Associazione Culturale Vox Condoviae alla Biblioteca di Condove (TO), presentai questa breve ricerca, diciamo uno spunto di riflessione, su un tema che, da quando co-fondai Vox Condoviae ormai qualche anno fa, è stato per me sempre una sfida suggestiva: cercare di far comprendere come il Medioevo che siamo abituati a conoscere dai film, dai racconti, non sia quello della Storia, ma piuttosto un "altro Medioevo", figlio di un'invenzione letteraria, di una mistificazione culturale.


Quello che segue è il canovaccio della lezione, che spero possa essere, come sempre, stimolo di curiosità.

Il tema focale di questa trattazione non sarà la storia. Saranno altre le discipline che si tratteranno, e altri i “campi d’azione” della nostra ricerca: la letteratura, l’arte, la musica, l’architettura, fino ad arrivare a un vero e proprio studio sociale. Un cammino in cui le date, meramente, rappresenteranno dei punti segnati per non perdere il filo e per marcare dei turning points.


Giungendo al tema di cui tratteremo è necessario tracciare una rapidissima, incompleta ma pur, spero, chiarificante, presentazione di cosa il Medioevo sia realmente stato.


Per “Medioevo” s’intende quel lungo periodo che intercorre tra la dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente (che la convenzione data nel 476, quando il re sciro Odoacre depose l’Imperatore Romolo Augustolo, ma che ha radici chiare già nel IV secolo e si completerà solo al venir meno delle complesse strutture amministrative e funzionariali solo a VI secolo inoltrato) e il 1492, anno della scoperta dell’America ma, soprattutto, momento chiave nel processo che, dagli anni ’50 del XV secolo fino a buona parte del XVI, aprirà all’Europa le porte del mondo, spostando irrimediabilmente i baricentri politici ed economici. In mezzo, dieci secoli in cui accaddero molte cose: innanzitutto, ed è quel che rende il Medioevo materia assai complessa e dibattuta, per la prima volta nello studio della storia, si affronta la frammentazione. Caratteristica dei grandi regni e imperi del passato, infatti, si voglia per una disponibilità di fonti, sia per strutture che rendevano più “semplice” individuare un centro del potere, era una sorta di unità, che consente di studiare a blocchi efficaci l’Egitto, l’arkè ateniese, il regno persiano, l’Impero Romano,…

Nel Medioevo, tutto questo è impossibile: il venir meno dei quadri determinò non solo una grande confusione politica, ma in generale polverizzò il potere, differenziandone moltissimo l’applicazione da zona a zona. Nacquero i castelli con i loro territori di competenza e, in una forma più evoluta, soprattutto in Italia, le aree cittadine. Per fare un esempio della complessità in un Medioevo più maturo, basti pensare che nell’arco di una settantina di chilometri, due città come Siena e Arezzo erano caratterizzate, all’inizio del ‘300, da due impianti politici, la Repubblica e la Signoria, completamente e radicalmente differenti.


Questo breve preambolo ha uno scopo: penso che tutti abbiate pensato che il Medioevo “semplice”, quello dei castelli e delle principesse cui siamo abituati fin da quando siam bambini, non possa essere un dato storico, o almeno non l’unico. Cercheremo di capire perché, allora, se fin dai primi anni di scuola viene regalato un quadro più o meno edulcorato, ma reale di quanto avvenne prima, esiste quest’immagine distorta dei dieci secoli medievali, idealizzati e cristallizzati in tante immagini come, e qui rubo una bellissima immagine al professor Renato Bordone, se ci stessimo limitando a guardarne il riflesso in uno specchio.

F. Gèrard, Ossian evoca i fantasmi, olio su tela, 1801

Dovendo trovare un “punto di partenza”, possiamo segnare ad esempio la data del 1760, anno della prima pubblicazione dei Canti di Ossian. Era, di fatto, una raccolta di poesie e poemi attribuite a Ossian, una sorta di Omero del Nord, bardo irlandese che, secondo questa ricostruzione, avrebbe proseguito la sua attività in Scozia. In realtà, dietro a quest’opera apparentemente ricostruttiva, c’era la mano di un autore, James McPhersons, che, pur forse prendendo le mosse da testi originali provenienti dalle Highlands, “costruì” gran parte del lavoro, ispirato da contemporanei, come Rousseau. La scrittura potente e il ritorno alla natura, elemento nuovo nell’ambito di un’epoca dominata dal pensiero illuminista, ne permisero una grandissima diffusione.

Qualche anno dopo, anche spinti da Ossian, alcuni poeti tedeschi diedero il via, con il movimento dello Sturm und Drang, a quello che sarebbe diventato il Romanticismo, che, distaccandosi dal razionalismo illuminista, abbracciava e si abbandonava alle passioni, ricercando nuovi “eroi” proprio in quei momenti che la storia, finora, aveva dimenticato o bollato come “bui”: il Medioevo, per esempio.


Una scena da "Ivanhoe" di Richard Thorpe, 1952

Dalla Germania, come in una sorta di volano, il Preromanticismo, che sarebbe poi diventato Romanticismo, tornò in Scozia. Vi tornò carico di molti elementi nuovi, non solo ideologici ma anche d’immagine: si stavano diffondendo, ancora una volta in opposizione a razionalismo e classicismo, stili che traevano ispirazione dal mondo medievale, soprattutto a livello dell’allestimento dei grandi giardini delle ville. Cominciarono in un primo momento a comparire le rovine, e poco importa se fossero rovine originali o costruite ex-novo. Quindi, progressivamente, con una tendenza che sarebbe cresciuta esponenzialmente, e della quale a breve parleremo, comparvero case turrite e merlate, chiese ispirate allo stile gotico e via dicendo. Tutto questo ispirò un autore scozzese, già noto per romanzi di ambientazione storica, ovvero Walter Scott. Nel 1820, questi pubblicò Ivanhoe, un romanzo che avrebbe, per certi versi, plasmato l’idea di Medioevo che ancora oggi ha tanta fortuna. Chi l’ha letto sa che in esso ci sono tutti quegli aspetti che, ancora oggi, ci si aspetta di trovare a una rievocazione (e non a caso le prime rievocazioni comparvero proprio in quegli anni): il castello, il fossato, la damigella in difficoltà, il torneo, i personaggi stereotipati del cavaliere, del servo/scudiero, della dama che cela dietro la gentilezza un animo forte e fiero, del vendicativo e perfido antagonista. Il tutto riprendendo una collocazione storica (il nord dell’Inghilterra della fine del XII secolo, il riferimento a figure reali come Riccardo Cuor di Leone) verosimile, ma plasmando il tutto con una mentalità assolutamente ottocentesca, figlia dell’esperienza illuminista e preromantica.


Ivanhoe segna il punto di svolta: il romanzo è un successo epocale e si diffonde ai due opposti dell’Oceano Atlantico. In Europa contribuirà a risvegliare la “voglia di Medioevo” fino a quel momento limitata a cenni architettonici più o meno privi di valenze morali e sociali: in Germania, soprattutto, il discorso prenderà una grandissima forza, portando a uno studio senza pari del materiale medievale più antico e al quale dedicheremo in conclusione una parentesi a parte. Più generalmente, la ripresa del Medioevo coincise con un nuovo interesse nei confronti dell’epica medievale: tornarono in scena, sostituendo i temi della classicità, Orlando, il Cid, gli eroi del ciclo arturiano.


Dobbiamo correre avanti di qualche anno, in questo percorso che necessariamente dev’essere rapido, perché gli argomenti sono molti: il gusto medievale sopravvisse, di fatto, al Romanticismo letterario, che, dopo la Commedia Umana di Balzac aveva lasciato campo al movimento del Realismo/Verismo/Naturalismo, a seconda di dove si guardi. Rimase tuttavia ben presente nell’arte e nell’architettura.

J. Waterhouse, La Dama di Shalott, olio su tela, 1888

Elementi di tipo medievale divennero infatti protagonisti all’interno di un movimento che gettava le basi in Inghilterra attorno alla metà dell’Ottocento: i cosiddetti Preraffaeliti. Essi individuavano nella figura di Raffaello Sanzio la colpa di aver inquinato l’arte sacrificando l’idealizzazione della natura e la realtà per la bellezza, inaugurando di fatto l’accademismo, verso la cui incarnazione vittoriana si scagliavano. A fianco d’immagini mutuate dalle opere di Shakespeare e rielaborando numerosi concetti del pensiero romantico, ora evoluti in una chiave che può ricordare la visione dei decadentisti europei, il tema medievale ebbe in loro grandissimo successo, con la ripresa della traduzione arturiana e di figure come la Dama di Shalott, cantata anche nelle opere di Tennyson, che era condannata da una maledizione a non poter vedere che la figura riflessa in uno specchio di Camelot, ma che, innamoratasi di Lancillotto, venne meno a tale imposizione.


Dal punto di vista architettonico, invece, ho voluto esemplificare questo tema parlando di due grandi personalità, la prima riconosciuta per l’immensa influenza che avrebbe avuto per l’architettura in senso lato, la seconda per noi doppiamente importante, in quanto molto attivo proprio in Piemonte: Eugene Viollet le Duc e Alfredo d’Andrade.


Notre Dame a Parigi

Come avevamo accennato, il Medioevo aveva fatto irruzione nel mondo dell’architettura già a metà Settecento, ma fu in particolare dopo Napoleone che si diffuse lo stile poi chiamato Neogotico, che riprendeva, come suggerisce il nome, gli stili e il gusto, sempre ovviamente mediato dall’anelito ottocentesco, bassomedievale. Eugene Viollet le Duc fu simbolo, e nel contempo superamento, di questa tendenza: le sue opere più note, ovvero il restauro di Notre Dame o quello dei castelli di Carcassonne e Pierrefonds, sono la miglior spiegazione del suo pensiero. Con l’applicazione delle tecniche di progettazione più avanzate, come l’uso di nuovi materiali, come la ghisa, e l’ispirazione a modelli naturali, si propose di “terminare” l’ideale lavoro degli artisti medievali, inserendo tuttavia elementi di libera ispirazione e fantasia, come torri, merlature o statue (è il caso dei leggendari gargoyles di Notre Dame), lontani dall’odierno gusto del restauro di edifici simili, in cui si preferisce privilegiare l’aspetto storico a quello sensazionalistico.


L’opera di Alfredo d’Andrade si colloca su un piano simile: lo sa bene chiunque abbia visitato il Castello di Pavone Canavese, o ancora la Sacra di San Michele. Per quanto suggestivo, è difficile immaginare, in un’abbazia, struttura difensive come le merlature che sovrastano la foresteria. Ovviamente, grande rilievo ha, nel nostro discorso, l’Esposizione Universale di Torino del 1884, che scelse il Medioevo come tema e lo ricorda ancora oggi ai visitatori del Borgo Medievale. D’Andrade, che ne curò la realizzazione, volle ricreare in esso un borgo per rievocare un Medioevo “reale”, integrando tutte le sue esperienze in campo architettonico e di ricerca storica, andando così a cristallizzare un “tipo” che avrebbe avuto fino a oggi un grandissimo successo.


Il castello di Neuschwanstein

Altro luogo dove il Neogotico ebbe grande diffusione, e che sfrutteremo come trait d’union con gli argomenti che tratteremo nell’ultima parte del discorso, è la Baviera. La Germania, come detto, aveva letto nel Medioevo una forma di affermazione non solo artistica, ma anche e soprattutto politico-sociale. Non a caso, era iniziato presso la casata dei Wittelsbach, che regnava in Baviera dal 1180, un percorso di ricostruzione di carattere mitologico, con il restauro (o meglio riedificazione) dell’antico castello di Hohenschwangau, ai piedi delle Alpi, che riprendeva temi e immagini della tradizione epica tedesca d’età altomedievale. Fu proprio la sinergia tra un re, il più noto di questa casata, ovvero Ludovico II, Ludwig, e un musicista, Richard Wagner, a segnare una pagina fondamentale del nostro discorso. Wagner, come noto, riprese molti temi dell’epica medievale, tedesca (la Tetralogia, Lohengrin, I Maestri Cantori di Norimberga, Tannhauser) e più generalmente europea (le opere legate al Graal e al ciclo arturiano), e molte delle sue opere vennero commissionate da Ludwig, che ne fu mecenate, al punto da finanziare la costruzione del teatro di Bayreuth. Ludwig aveva passato gran parte dell’infanzia tra le sale affrescate di Hohenschwangau, dove aveva maturato una passione quasi ossessiva per il mito del potere assoluto e dell’eroismo dei grandi eroi dei cicli leggendari. Crescendo, e maturando una forma di follia che l’avrebbe poi reso celebre anche in letteratura, il re bavarese volle estremizzare questa passione con la costruzione di quello che, forse, è il castello più iconico del mondo, e che ho voluto scegliere come “copertina” di questa lezione: Neuschwanstein. Chi vi sia stato, non può non aver notato un aspetto fondamentale: se nel Neogotico l’idea, pur fantasiosa talvolta, era quella di rimanere legati a schemi tipici dell’architettura medievale, Neuschwanstein, come il disegno di un bambino, esce dagli schemi del tempo e dai ragionamenti della storia. Ha, ovviamente, il Medioevo come idea di partenza, ma non ne conserva nulla se non un’allure che rende emozione, che rende reale. Non c’è intento rievocativo, ma evocativo. E questo passaggio, se vogliamo, può essere il secondo punto di svolta del nostro racconto.


Una svolta che ci porta qualche migliaio di chilometri a ovest, al di là dell’Oceano Atlantico. Prima, parlando di Scott, avevamo sottolineato il grandioso successo di Ivanhoe. Negli Stati Uniti, infatti, se possibile il volume era stato ancor più apprezzato che non in Europa. A dimostrarlo, il fiorire di eventi a tema medievale, “rievocazioni” che, ovviamente, non avevano né potevano avere quel carattere, così come costruzioni che, dal romanzo e dal gusto neogotico, riprendevano le architetture. La differenza, rispetto all’Europa, era l’assenza dell’originale (pur ricercato, come testimonia la spasmodica voglia di Medioevo simboleggiata dai ritrovamenti - Reali? Fittizi? - di testimonianze vichinghe sulle coste del Nord-Est), che “concesse” una grandiosa libertà d’espressione. Il Medioevo, quindi, divenne un “tipo”, non un’evoluzione storica, e vennero a mancare progressivamente la connessione tra funzione del luogo (castello = fortificazione, per esempio) e la concezione stessa dell’evoluzione cronologica di dieci secoli, spesso ora condensati in un unico quadro d’indagine.

La Cattedrale di St. Patrick a New York

Gli aspetti più alti della cultura statunitense, anche a prendere le distanze dal modello europeo, considerato opposto a quello americano, portarono avanti una feroce critica al Medioevo, la cui summa può ritrovarsi nei lavori di Mark Twain, come Un americano del Connecticut alla corte di Re Artù, che inaugura tra l’altro un filone che sarebbe arrivato con successo fino ai giorni nostri di parallelismo tra presente e Medioevo (come nel film cult L’armata delle tenebre di Raimi). Anche l’America, negli anni in cui in Europa un architetto geniale come Antoni Gaudì, partendo proprio dagli insegnamenti di Viollet le Duc, superò lo stile neogotico aprendolo alla modernità, giunse ad avere il suo castello di Neuschwanstein, sulle colline della California: il monumentale complesso del Castello Hearst, costruito nel 1919, che, ancor più dell’omologo bavarese, perdeva ogni connessione con la realtà storica a scapito di un’estetica esasperata e sconvolgente.


Proprio in California, pochi anni dopo, vennero gettate le basi per l’ultima parte del nostro discorso. È risaputo, infatti, che l’età in cui è più facile imparare è quella dei bambini. Ecco perché si deve necessariamente parlare del “modello Disney” (esteso poi anche ad altre produzioni con altre firme, ma concettualmente simili). Sono molti i lavori disneyani aventi come scenario d’elezione il Medioevo: Biancaneve e poi, qualche anno dopo, La Bella Addormentata nel Bosco e Cenerentola, fino a Robin Hood, La spada nella roccia, Taron e la pentola magica e La bella e la bestia). Sicuramente il Medioevo made in Disney doveva prendere le misure da questo pensiero un po’ astorico, un po’ slegato dalla realtà diffusosi nell’ultimo secolo negli States. Non è allora un caso se le ambientazioni ripescano dalla tradizione di Ivanhoe, che è inserita dentro gli schemi, edulcorati per i bambini, delle fiabe europee (la ripresa della fiaba e del folklore era stato un altro elemento chiave del Romanticismo, in particolare in Germania), ma utilizzano come tasselli elementi che con quella tradizione c’entrano ben poco: il castello, allora, non è più nemmeno la fortificazione di stampo anglo-scozzese descritta da Scott, ma una ripresa della skyline di Neuschwanstein contaminata da immagini rinascimentali francesi o italiane.


Minas Tirith ne "Il Signore degli Anelli"

Giunti a questo punto il passaggio tra realtà medievale, ormai scorporata, privata della sua carica politica e umana e ridotta a semplice scenario, e fantasy diventa facile da effettuarsi. È uno dei motivi per cui proprio un Medioevo ipotetico è l’ambiente nel quale prendono le mosse le grandi saghe, su tutte quelle splendidamente tracciate da Tolkien, che, per creare il suo mondo, da esperto conoscitore dell’epica e della cultura medievale, volle fondervi elementi di fantasia e citazioni che svariano dalla Bibbia alla Saga dei Nibelunghi, dalla Chanson du Roland all’epica arturiana.


Ecco dunque da dove nasce l’Altro Medioevo: molto rapidamente, un percorso che ha trasformato dieci secoli di Storia in un’immagine da una parte privata del suo carattere più dinamico, dall’altra parte caricata d’istanze decisamente contemporanee. Merita un discorso a parte una tematica che abbiamo accennato prima, ma che meriterebbe molto più spazio e, chissà, potrebbe essere un invito d’approfondimento per un futuro incontro. Il Medioevo, che finora abbiamo trattato a livello di reinterpretazione estetica, si caricò nel Romanticismo anche di un carattere marcatamente sociale: grazie anche alla fluidità delle fonti sul Medioevo, figlie di una lingua ben più povera di quella del mondo romano, piuttosto che di quello greco, che lasciava spazio a una ben più larga interpretazione, il pensiero nazionale vi vide la culla delle identità. In Germania, in particolare, questo processo si tradusse in una ricostruzione, a posteriori, di un vasto corpus che raccoglieva il folklore (fondamentale l’opera dei Fratelli Grimm), i documenti, le leggi antiche (Monumenta) per sottolineare la forza e l’importanza dell’origine germanica d’Europa. Un ruolo di preminenza, ribadito da pensatori come Fichte e che sarà ripreso e amplificato anni dopo nel Mein Kampf da Hitler. Mistificazioni e reinterpretazioni ben più gravi di quelle estetiche e che ci permettono di arrivare fino a oggi: nazionalismo e autodeterminazione dei popoli, tematiche ottocentesche e novecentesche, si caricarono di elementi d’orgoglio medievale (ad esempio, il recupero, più o meno mitologico, di eroi nazionali come Scanderbeg in Albania) e li portarono anche sul campo di battaglia, nei grandi conflitti europei fino alla Guerra in Jugoslavia.


Quello che abbiamo provato a tracciare è un discorso molto generale e ampio, ma può aiutare a capire perché il Medioevo “reale” alla fine fatichi ancora oggi a venire alla luce, almeno nel sapere comune: lo specchio non si è ancora spezzato, e chissà se riuscirà a farlo. Quest’altro Medioevo, però, che esiste solo sui canali della suggestione, dell’immaginazione, della fantasia, sa essere ugualmente affascinante, e nella sua semplificazione complesso e carico di sensazioni ed emozioni.


È bene ricordare, per concludere una cosa. La fantasia non è vietata: è un elemento trainante e trascinante. Senza la suggestione non si crea attrazione, non si crea fascino. La fantasia, se si fa rievocazione, forse è necessaria, perché è sbagliato nascondersi dietro al dito pensando di “fare storia”. Il passo da compiere è quello di conoscere la realtà, per poter dire cosa sia vero e cosa no: insomma, far sì che l’Altro Medioevo sia “altro”, senza sovrapposizioni.

Il castello della Walt Disney

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